Confinante con il Nepal e l’India a sud, con il Kashmir e il Khotan a ovest, con le oasi della Serindia a nord e la Cina a est, e isolato da alte catene montuose, l’altopiano del Tibet si è aperto abbastanza tardi al buddhismo. Più che in ogni altro paese, tuttavia, in Tibet il buddhismo è stato intimamente legato alla storia politica, tanto era onnipresente nella società tradizionale.
PRIMA DIFFUSIONE.
Esiste effettivamente una leggenda riportata negli annali buddhisti secondo la quale il ventottesimo sovrano, Lhathothori, sarebbe stato il primo ad entrare in contatto con il buddhismo, verso l’anno 333 della nostra era. Tuttavia il vero e proprio ingresso del buddhismo in Tibet ebbe luogo nel VII secolo, sotto il regno di Songtsen Gampo, trentatreesimo sovrano della dinastia (569-650).
Il regno tibetano è allora in piena espansione territoriale e il re stringe alleanze matrimoniali con i paesi vicini. Già nel 632 il re Songtsen Gampo ottiene la mano di una principessa nepalese buddhista, Bhṛkuti, la quale porta con sé in Tibet una preziosa statua del Buddha Akṣobhya.
Nel 641 il re ottiene dall’imperatore cinese Taizong la mano della principessa Wengcheng, anche lei buddhista, che porta dalla Cina il “prezioso Signore”, Jowo Rinpoche. Secondo la leggenda, Songtsen Gampo fece allora costruire dodici templi sui luoghi geomantici, poi inviò il ministro Thönmi Sambhota in India con quindici compagni con la missione di elaborare una scrittura e una grammatica che permettessero di tradurre in tibetano i testi sanscriti. Bisogna tuttavia temperare il fervore buddhista che la tradizione presta a Songtsen Gampo: certamente vengono tradotti alcuni testi buddhisti, ma il buddhismo non penetra ancora né nella società tibetana né nell’aristocrazia, e l’antica religione del culto regale e del Bön rimane dominante.
Sarà il grande re Trisong Detsen (742-797) a decidere di far radicare il Dharma nel Tibet, allora all’apice della potenza temporale. Neutralizzando la reticenza dei suoi ministri, questo re invita il maestro indiano Śāntarakṣita per la fondazione del monastero di Samyé nel Tibet centrale.
Tuttavia, davanti alle calamità naturali (o sovrannaturali) che si presentano, Śāntarakṣita deve rinunciare al compito affidatogli e suggerisce al re di invitare il grande maestro tantrico Padmasambhava del Uḍḍiyana , conosciuto anche come Guru Rinpoche, ovvero il Re Prezioso, o anche il Re Nato dal Loto, il cui arrivo in Tibet è determinante per il futuro del buddhismo tibetano, come testimoniano le sue molte agiografie. Padmasambhava soggioga rapidamente le forze ostili, e il monastero di Samyé viene completato e inaugurato probabilmente nel 778. L’anno successivo, Śāntarakṣita ordina i primi sette monaci tibetani.
Secondo la tradizione, con l’appoggio del re e di Śāntarakṣita, Padmasambhava riunisce una squadra di traduttori e dà inizio alla traduzione dei sutra e dei tantra. Introducendo il Vajrayana con l’insegnamento delle “Otto Deità di Realizzazione”, il maestro instaura contemporaneamente un lignaggio di trasmissione orale da maestro a discepolo e la trasmissione abbreviata dei tesori nascosti: infatti Padmasambhava nasconde moltissimi insegnamenti sotto forma di “tesori” in vari luoghi segreti, e profetizza che soltanto le future incarnazioni dei suoi discepoli, chiamate tertön, potranno riesumarli per rivelarne il contenuto all’umanità in epoche appropriate.
Nel 791 Trisong Detsen proclama il buddhismo “religione di stato” tramite un editto. In conseguenza del risultato del dibattito di Samyé svoltosi tra il 792 e il 794 i monaci cinesi che rappresentano il Chan Immediatista vengono espulsi dal Tibet.
Alla morte di Trisong Detsen il buddhismo indiano è ormai solidamente radicato: su indicazioni di Śāntarakṣita, i monaci seguono il lignaggio del Vinaya di Mūlasarvāstivāda, e si afferma il Mahāyāna della corrente Yogācāra Mādhyamika. Grazie a Padmasambhava, Vimalamitra, Pagor Vairocana e ai loro discepoli tibetani, il Vajrayana e lo Dzogchen vengono praticati, anche se da una riestretta élite. Il tutto continua sotto i regni dei figli di Trisong Detsen: Mune Tsenpo e Mutig Tsenpo, alias Senalek Djin Yön.
Dal 815 al 838, Tri Relpachen, figlio di Senalek, prosegue nella direzione del padre decretando che ogni monaco deve ricevere un sostegno da sette famiglie, e nel 838 viene assassinato da alcuni aristocratici, che mettono sul trono Langdarma, suo fratello maggiore.
Verso l’840 Langdarma decreta una persecuzione sistematica contro i monasteri, presumibilmente mirando alla restaurazione dell’ordine regale antico, ormai indebolito dal potere dei monaci. Con il suo assassinio nell’842 la dinastia si disgrega e il grande impero tibetano si smembra in meno di un secolo. La prima diffusione delle traduzioni antiche è da ritenersi conclusa.
SECONDA DIFFUSIONE.
Alquanto indebolito, il buddhismo sopravvisse nel Tibet orientale grazie a degli yogi come Nup Sangyé Yeshe, che perpetuarono l’insegnamento all’interno di lignaggi familiari. Nella regione di Amdo tre monaci superstiti fecero ordinare un nuovo monaco tibetano, Lachen Gongpa Rabsel, e fecero ritorno nel Tibet centrale per risollevare la comunità monastica e ricostruire Samyé.
All’inizio del XI secolo, nel regno di Guge nel Tibet occidentale, il re Khore, diventato monaco con il nome di Yeshe Ö, esorta Rinchen Zangpo a recarsi in India per riallacciare i contatti con la tradizione tantrica. Di ritorno in Tibet, il traduttore fa costruire templi e monasteri. Con il sostegno del re, Rinchen Zangpo invita nel 1040 il maestro indiano Atiśa Dīpankara Śrījñāna, il quale resterà in Tibet fino alla morte, dando ovunque nuovo vigore al Dharma. Il suo discepolo Dromtönpa Gyalwé Jungné fonderà la scuola Kadampa.
Altri tibetani si recano in India: Marpa Lotsawa, che riceve la trasmissione di Naropa e che, tornato in Tibet, trasmette il suo lignaggio a Milarepa, fondatore della scuola Kagyüpa; Drokmi Sakya Yeshe, che riceve gli insegnamenti tantrici da Virupa e li trasmette a sua volta al suo discepolo Khön Könchok Gyalpo, fondatore della scuola Sakyapa.
Tale rinnovamento è chiamato “seconda diffusione”: nell’XI secolo, dunque, sono presenti quattro scuole principali: La scuola Nyingmapa, o “degli antichi”, nata dalla prima diffusione, e tre scuole “nuove”, ossia i Kadampa, i Kagyüpa (suddivisi in diversi rami) e i Sakyapa, che si fondano su dei nuovi tantra scoperti in India e su di un nuovo stile di traduzione.
IL PERIODO MONASTICO.
Per quanto riguarda gli inizi, sarebbe più corretto parlare di lignaggi o di correnti di trasmissione, piuttosto che di vere e proprie scuole. Inoltre, quasi sempre i maestri di una corrente ricevono o hanno ricevuto insegnamenti da maestri di altri lignaggi.
La scuola Kagyüpa è caratterizzata dall’aver imperniato la dottrina sul tantra di Chakrasaṃvara, su pratiche dello yoga interno quali i sei yoga di Naropa, e su un Mahamudra che integra elementi dello Dzogchen Nyingmapa a partire dal III Karmapa Rangjung Dorje.
La scuola Sakyapa si svilupperà intorno a dei capi-scuola appartenenti alla famiglia Khön. Sachen Kunga Nyingpo fonde il lignaggio Madhyamika di Nagarjuna con quello del tantra di Hevajra risalente a Virupa. Fra il XIV e il XV secolo, nella scuola Sakya si praticherà il Lamdré, ossia L’insegnamento della Via e del Frutto, che unisce il Mahamudra dell’Hevajra tantra all’addestramento della mente nell’abbandono dei quattro attaccamenti, opera di Sachen Kunga Nyingpo. A differenza delle due scuole di cui sopra, la scuola Kadampa, celebre per la disciplina e gli insegnamenti sull’addestramento della mente, finirà col fondersi a poco a poco con le altre scuole, senza mai accedere al potere temporale. La stessa cosa accadrà alla corrente Shije o scuola del Chöd, la pratica tantrica risalente a P’adampa Sangyé e alla sua discepola Machig Labdrön.
Quanto alla scuola Nyingmapa nata dalla prima diffusione, nel XII secolo essa conosce una nuova espansione grazie agli insegnamenti riscoperti dai primi tertön, Nyang Nyima Özer e guru Chöwang, e a quelli che la tradizione orale ha preservato dall’estinzione. Nel XIV secolo Longchen Rabjam riunisce gli insegnamenti terma e kama dei Nyintig dello Dzogchen e codifica il corpus degli insegnamenti della scuola. La loro scuola non avrà alcun ruolo politico nei secoli a venire, il che la metterà al riparo dai giochi di potere. Sarà infatti mediante l’edificazione di potenti monasteri che le scuole si istituzionalizzeranno, affermeranno la loro identità e svolgeranno, parallelamente, un importante ruolo nella politica tibetana, soprattutto nel caso dei maestri fondatori appartenenti ad antichi e potenti clan familiari. Fra il XII e il XVI secolo i grandi monasteri delle scuole nuove, alleatisi dapprima con i sovrani locali e in seguito con potenze straniere, si avvicenderanno nella lotta per il potere e nel governare il Tibet.
All’inizio del XIII secolo, i mongoli dilagano in Asia. Godan Khan sottomette il Tibet nel 1239, ma Sakya Paṇḍita, capo spirituale dei Sakyapa, diventa il suo maestro spirituale e salva il paese dalla distruzione. Suo nipote Chögyal P’agpa, a sua volta, nominato governatore delle tre regioni più vaste del tibet, confermerà la supremazia politica dei Sakyapa.
All’inizio del XIV secolo la bramosia di potere attecchisce nella scuola P’akmo Drupa, una diramazione Kagyüpa.
Nel 1358 i Sakyapa sono definitivamente sconfitti e i P’akmo Drupa proclamano l’indipendenza del Tibet, riorganizzano l’amministrazione del paese e costruiscono strade e ponti.
All’inizio del XV secolo nasce in Tibet una nuova scuola buddhista, quella dei Gelugpa, fondata da Je Tsong Khapa, il quale si ispira ai Kadampa e costruisce, con i suoi discepoli, tre grandi monasteri vicino a Lhasa: Ganden, Sera e Drepung.
Poco dopo scoppieranno le lotte fra i Gelugpa dell’Ü e i Karma Kagyüpa dello Tsang.
Tutte queste lotte politiche, che riflettono essenzialmente l’ambizione di personaggi religiosi più inclini al potere temporale che alla saggezza, non inficiano tuttavia la grandezza spirituale dei maestri autentici presenti in ciascuna scuola, e ben lontani dalla politica.
IL POTERE DEI DALAI LAMA.
Quando l’Asia è nuovamente sotto la minaccia dei mongoli che sono tornati ad essere potenti, Altan Khan si converte al Buddhismo nel 1576 e l’anno seguente invita a corte l’abate Gelugpa di Drepung, Sönam Gyatso,(1543-88). Riconoscendolo quale proprio maestro, gli conferisce il titolo di DALAI LAMA.
Alle due incarnazioni precedenti di Sönam Gyatso, Gendün Drup e Gendün Gyatso, il titolo viene attribuito postumo, cosicché Sönam Gyatso diventa il III Dalai Lama.
Riprendono vigore le schermaglie con i Karma Kagyu dell Tsang e le truppe dello Tsang occupano l’Ü, scacciando i mongoli.
Ed è in tali complessi frangenti che, dopo la morte del IV Dalai Lama Yönten Gyatso (incarnatosi in seno alla famiglia di Altan Khan), avviene il riconoscimento del V Dalai Lama, Ngawang Lozang Gyatso (1617-82).
Nel 1642 il V Dalai Lama Ngawang Lozang Gyatso viene proclamato autorità suprema in Tibet, così ha inizio il governo dei dalai lama, caratterizzato da un periodo di maggiore stablità. Uomo illuminato, dotato di grande spiritualità, il V Dalai Lama riceve una formazione gelugpa ma amcne nyngmapa, favorisce l’espansione spirituale del Dharma e appoggia l’edificazione dei monasteri nyingmapa di Mindröling e di Dzogchen, fonda un istituto di medicina a Lhasa e intraprende la costruzione del Potala.
Si profila intanto un secondo lignaggio di maestri gelugpa, riconosciuto dal dalai lama, quello dei panchen lama (abati del monastero di Tashi Lhungpo), caratterizzato dal rapporto maestro/discepolo con i dalai lama: diversamente dai dalai lama, che rappresentano tanto il potere temporale quanto il potere spirituale, i panchen lama svolgeranno un ruolo essenzialmente spirituale fino ad un’epoca recente.
A cominciare dal XVIII secolo si assiste con una certa frequenza alla radicalizzazione delle scuole tibetane e al loro ripiegarsi su se stesse.
Nel XIX secolo, nel Kham, il maestro kagyüpa Jamgön Kongtrül Lodrö Thayé, al quale si uniscono il maestro sakyapa Jamyang Khyentse Wangpo e il tertön nyingmapa Chögyur Dechen Lingpa, fonda il movimento Rimé, che significa letterlamente NON SETTARIO, con l’intento di reagire contro il settarismo delle scuole e preservare i lignaggi in pericolo di estinzione.
Durante il XVIII e il XIX secolo i dalai lama perdono importanza per diverse generazioni, ma infine Thubten Gyatso, il XIII dalai lama, si rivelerà contemporaneamente un brillante maestro spirituale e un uomo politico competente, infatti nel 1913 proclamerà l’indipendenza del Tibet dalla dinastia Manciù della Cina, e tenterà di modernizzare il paese malgrado l’opposizione dei monaci. Egli iniziò un processo di apertura e modernizzazione del Tibet, pur nel rispetto delle tradizioni e delle radici culturali, ma purtroppo aveva a che fare con una classe dirigente, sia laica che religiosa, molto meno lungimirante, la quale non assecondò i suoi disegni con il necessario entusiasmo, anzi al contrario in segreto addirittura li boicottò. Dunque questa spinta riformatrice non potè esprimeris in tutta la sua forza e il tredicesimo giorno del decimo mese dell’anno dell’Uccello d’Acqua (17 dicembre 1933) Thubten Gyatso lasciò il corpo terreno a causa di un improvviso attacco di polmonite, e le idee di modernizzazione e cambiamento morirono con lui.
Fonte: estratto dal Dizionario del Buddhismo - Philippe Cornu